Bambini palestinesi giocano a ridosso del muro di separazione a Gerusalemme Est. Foto di Mariam Dinar. |
di Enza Caputo
Lo scorso 9 luglio è
iniziata l'operazione militare israeliana “Margine Protettivo”, a seguito della
quale hanno perso la vita oltre 2200 palestinesi, nella maggior parte dei casi
civili . Moltissimi i bambini caduti vittima del fuoco israeliano durante i 50
giorni di bombardamenti. Se n'è parlato durante la sessione speciale del Consiglio dei Diritti
umani delle Nazioni Unite (Unhrc), lo scorso
marzo a Ginevra. Col paradosso che c'erano due grandi assenti: Israele e Stati
Uniti.
Mariam Dinar è stata in
Palestina due volte, nell’estate del 2010 e nel 2012, ed ha avuto l'occasione
di conoscere le dinamiche del conflitto tra Israele e i Territori
Palestinesi. La prima permanenza è stata
di poco più di un mese, a Nablus, dove ha svolto volontariato in un campo
profughi. Nel 2012, invece, è tornata con una borsa di studio dell'Università
di Torino ed è stata principalmente a Nazareth e Haifa. La sua tesi affrontava
il tema della minoranza palestinese con cittadinanza israeliana ed i limiti ad
essa legati, specie nell'esercizio dei propri diritti di cittadini.
Cosa pensa delle
operazioni militari israeliane di luglio?
Penso che Israele abbia
l’interesse di tenere la striscia di Gaza e i palestinesi in generale sotto un
terrore costante. Purtroppo non c’è nulla di nuovo nell’ultima operazione
militare, prima di margine protettivo abbiamo assistito a Pilastro di Difesa e
ancora prima a Piombo Fuso e così via. Spesso si sente dire che Israele ha
dimostrato di volere la pace in seguito al ritiro della Striscia, non credo sia
vero perché ciò che ha conosciuto la Striscia di Gaza in seguito è stato
l’isolamento completo e continui bombardamenti.
L’assoluta libertà che
Israele possiede nel colpire i Territori Palestinesi, costruire muri e colonie,
demolire case palestinesi, arrestare arbitrariamente palestinesi senza alcun
processo etc.. penso sia la dimostrazione che la comunità e le organizzazioni
internazionali abbiano fallito nel ruolo di mantenimento della pace e della
giustizia.
Sono passati 8 mesi
dalla fine delle operazioni, cosa è cambiato?
Come accennavo prima la
Striscia non conosce pace, anche se non ci arrivano le notizie dai media non
bisogna dimenticarsi che è chiusa su tutti i lati (per questo viene chiamata
“prigione a cielo aperto”). I palestinesi non possono uscire e quindi nemmeno
scappare in caso di attacco israeliano e le merci vengono introdotte con il
contagocce. La situazione è davvero drammatica: i continui attacchi israeliani,
che colpiscono case, scuole e ospedali non permettono alla Striscia di vivere
in maniera dignitosa. Un esempio dell’oppressione sono i continui attacchi ai
pescherecci palestinesi da parte della marina israeliana. Proprio in questo
mese le forze navali hanno aperto il fuoco contro un peschereccio palestinese
uccidendo un giovane pescatore di 25 anni. Ciò che mi chiedo spesso è perché
queste notizie non ci vengono trasmesse?
“Con me come premier,
non ci sarà uno Stato palestinese”, queste le parole del rieletto premier
israeliano Benjamin Netanyahu, il giorno prima del voto. Lei che ha vissuto per
alcuni mesi della sua vita in Palestina, cosa pensa di queste parole? Che
rapporto esiste tra i palestinesi ed i coloni?
Sinceramente queste
parole non mi hanno stupita affatto, Netanyahu con queste parole ha voluto
assicurarsi un maggior elettorato. Credo che le azioni dello Stato d’Israele
siano sufficienti ad arrivare alla conclusione che Israele, fino ad oggi, ha
sempre ostacolato l’idea di uno stato palestinese.
Gideon Levy,
giornalista di Haaretz, ringrazia (ironicamente) Netanyahu per aver espresso
ciò che tutti i leader israeliani hanno sempre pensato e portato avanti
nonostante la facciata dei colloqui di pace. Durante la
mia permanenza in Israele/Palestina ho sentito spesso dire dai palestinesi che
a loro avviso Israele non ha alcuna intenzione di permettere l’esistenza di uno
stato palestinese.
Per quanto riguarda il
rapporto tra coloni e palestinesi è inevitabilmente di tipo conflittuale. I due
s’incontrano davvero poco e per quello che ho potuto vedere i palestinesi
temono i coloni perché generalmente girano armati e sono estremisti. Un caso
particolare è la città di Hebron, dove i coloni si sono introdotti e vivono nel
cuore della città araba, ciò è fonte di continui conflitti e difficoltà per i
palestinesi. Hebron viene chiamata la “città fantasma” perché per permettere ai
coloni di viverci buona parte della città è stata chiusa al traffico
palestinese affinché i coloni possano girare liberamente. Il quartiere
commerciale più importante della città e della West Bank è stato evacuato dai
suoi residenti palestinesi per creare un corridoio di libero passaggio per i
coloni. La situazione è davvero drammatica a Hebron, ho potuto vedere i coloni
girare liberamente armati di fucili sotto la tutela incondizionata dei
soldati.
Una delle vie di
Hebron chiusa al "traffico palestinese" per creare un corridoio ai
coloni. Queste saracinesche erano negozi di palestinesi, oggi chiusi. Foto di Mariam Dinar
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Quale pensa possa
essere la migliore soluzione politica?
“Utopicamente” parlando però credo che l’unica soluzione sia
quella di uno Stato binazionale, laico e democratico che permetta di far vivere
insieme palestinesi e israeliani. Questa soluzione sta trovando il consenso di
molto intellettuali palestinesi e israeliani che credono che ormai la strada
verso due stati separati non sia più percorribile, soprattutto per la presenza
delle colonie.
Ci sono timidi barlumi di speranza che si possono intravedere
all’interno della società civile palestinese e israeliana. Ci sono tentativi di
opposizione pacifica all’occupazione su entrambi i fronti. Ho profonda fiducia
in queste persone perché credo che solo la popolazione israeliana (insieme a
quella palestinese) sarà in grado di dare una svolta al conflitto. Generalmente
però, allo stato dei fatti, sono pessimista sul futuro della situazione
israelo-palestinese perché non vedo cambiamenti sostanziali che ci possano far
sperare. La comunità internazionale gioca, al momento, un ruolo di complice
nell’occupazione poiché Israele non è mai stata sanzionata per i crimini di
guerra commessi contro la popolazione palestinese. Finché questa omertà ha vita
non penso che vedremo terminare l’occupazione.
Vorrei comunque terminare con l’invitare chiunque a seguire la
politica del boicottaggio internazionale dell’organizzazione BDS per fare
pressione politica ed economica su Israele. Questa politica permette anche a
noi di avere un ruolo in questa campagna mondiale alla quale hanno partecipato
anche importanti artisti e intellettuali che hanno rifiutato di prendere parte
a eventi organizzati nelle colonie.
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