venerdì 3 maggio 2013

GRAZIE, MA NON POSSO PERMETTERMELO. Lettera mai inviata ad un datore di lavoro

di Silvia Padrini, nata a Verona, laureata in Scienze Internazionali all'Università di Torino, giornalista per passione e non per professione. Collabora con http://www.eastjournal.net/

Stage non pagato?

No, grazie.

Sa, non posso permettermi di andare in prigione.

Sono catastrofica, dice? No, sono solo evidenze. Mi segua. Il fatto è che non posso permettermi di non pagare l’affitto. E se continuo a non pagare l’affitto, le possibilità sono due.



La prima possibilità.

Vado in carcere, perché non ho nulla da pignorare, e, se permette, non posso permettermelo. Sa, è già difficile trovare lavoro così, figuriamoci con la fedina penale macchiata, senza possibilità di candeggi miracolosi e che non rovinano le fibre.

La seconda possibilità.

Non pago un affitto perché smetto di avere una casa. Risultato? Potrei occupare una casa, ma poi rischio di ripiombare nella prima possibilità. Oppure potrei vagabondare. Diventare, letteralmente, una senza-tetto. Però sa, l’inverno è  freddo e anni di studio hanno creato consapevolezze preziose, ma non hanno contribuito a forgiare la mia costituzione: mi ammalerei in fretta. E non posso permettermelo.
Sa, le cure costano.

Tutto sommato, forse sto dicendo solo banalità, ridondanti scontatezze. Non so perché, ma per quanto ovvie siano, mi fa sentire strana dirgliele, ma anche solo pensarle. Sento una condanna pendente che scende sul mio collo, sempre più vicina ad ogni parola che pronuncio. È un po’ come svelare un segreto di stato, un segreto pericoloso come un virus, se mi permette.

Eppure io lo so, se mi permette la presunzione, so di parlare a nome mio e di chi deve pagarsi un affitto con parole vuote. Ma noi non siamo i soli, se mi permette. Io so che anche chi ha un affitto pagato e un mensile garantito -per così dire- da assegni familiari, non può permettersi uno stage non pagato.

Sa perché, se mi permette?

Perché anche lui, o lei, non può dimenticarsi il corrispettivo giusto del lavoro e non può abituarsi allo sfruttamento come norma, se il primo maggio non è un’opinione, e sempre se mi permette.

Pensavo, poi, alla finalità formativa degli stage non pagati. Perché 'sei tu a guadagnare qualcosa', mi dicono. 

Se mi permette, tutti i lavoratori della storia dell’uomo hanno imparato qualcosa lavorando. Ma non pagavano per lavorare. Sa, sento l’aria viziata dello sfruttamento che ci soffia in faccia sempre più forte, seppur invisibile. Se mi permette l’espressione, inizia a puzzare.

È la crisi, mi si dice.

Io penso: la crisi non finirà mai se ci si approfitta di una situazione di emergenza. In tempi non sospetti, derubare le vittime  si chiamava sciacallaggio.

Se mi permette penso ancora, ma poi smetto. Se non si rispettano le regole del buon senso (almeno quello), noi la crisi ce la porteremo nel DNA.


Questi pensieri diventeranno forse espliciti? Queste cose, io, valorosa impertinente con la coda tra le gambe, gliele dirò chiaramente in faccia, serena e  fiera di riferire solo evidenze incontestabili?

No, non lo farò. E lei queste evidenze incontestabili non le saprà mai.

Sa, non posso permettermelo.

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