domenica 7 aprile 2013

Cronaca di un’impiccagione



L’Iran ha raggiunto un triste primato nelle esecuzioni. Amnesty International denuncia che almeno 630 persone sono state condannate alla pena capitale nel 2012. Ma secondo il rapporto pubblicato il 4 aprile dall’organizzazione per i diritti umani Iran human rights il numero potrebbe essere più alto: le persone messe a morte ufficialmente sono 580 (una sessantina in esecuzioni pubbliche) e almeno altre 85 esecuzioni potrebbero essere avvenute in segreto nella prigione Vakilabad di Mashhad.
Gran parte delle condanne a morte sono state emesse per reati legati al traffico di droga. Ma in Iran basta molto meno per rischiare la vita: il 20 gennaio 2013 due giovani, di 19 e 23 anni, sono stati impiccati pubblicamente a Teheran per un furto con aggressione. Il loro crimine era stato filmato da alcune telecamere di sorveglianza, la registrazione era finita su YouTube, dove era stata visualizzata da migliaia di utenti, scatenando un’ondata d’indignazione che ha spinto le autorità a emettere una condanna particolarmente severa.


Ilnaz Mohammadi, una giornalista del quotidiano iraniano Bahar, vicino agli ambienti riformisti, era tra il pubblico presente all’impiccagione di Mohammad Ali Sarvari e Ali Mafiha. Ecco il suo resoconto.


“Che Dio faccia in modo che la corda intorno al mio collo sia ben stretta”. Sono le ultime parole pronunciate da Mohammad Ali Sarvari, il giovane aggressore di 19 anni che piange senza versare lacrime e ha l’aria atterrita. Nel suo quartiere lo chiamavano “Ali lo scemo” perché dava l’impressione di essere sempre un po’ in ritardo su tutto. In realtà aveva un tumore al cervello e per questo andava regolarmente a farsi visitare all’ospedale. Ali è diventato talmente celebre per un video su internet che la sua prima condanna è stata anche l’ultima. Prima di essere impiccato ha parlato con i boia. Gli hanno portato da bere, ha bevuto un po’ d’acqua e il braccio della gru a cui era attaccato si è sollevato in aria. È stato il primo a morire. Vedendo quello che succedeva al suo compagno, l’altro condannato, Ali Mafiha, avrà sicuramente potuto prendere le misure di quello che stava per succedere anche a lui.


Non c’era molta gente all’esecuzione. Trecento, quattrocento persone. Molti erano originari del quartiere dove abitavano i due condannati. Dicevano di essere venuti per vedere un’ultima volta i loro compagni, per salutarli da lontano con lo sguardo. L’esecuzione era prevista per le cinque, prima della preghiera del mattino, ma come succede in questi casi, la folla ha cominciato a radunarsi un’ora o due prima dell’inizio. La maggior parte dei presenti aveva l’aria affranta ma non sembrava rendersi conto che in pochi minuti i due ragazzi sarebbero morti. Erano là per assistere a una cerimonia come tutte quelle organizzate negli ultimi anni nelle strade della capitale e che durano in tutto una mezz’ora. Salvo che questa volta il crimine di cui erano accusati i due ragazzi erano stato qualificato come moharebeh(contrario all’islam o allo stato, secondo la sharia, quindi passibile di condanna a morte) mentre si trattava solo di un’aggressione all’arma bianca. 

Tra la folla, c’è anche Mohsen che è stato in vacanza con Ali Mafiha nel nord dell’Iran almeno una decina di volte. Sono stati a scuola insieme e per qualche anno hanno abitato nello stesso quartiere. Mi mostra una foto di Ali sul telefonino. Lui e i suoi amici non resteranno fino all’impiccagione: ”È difficile vedere un amico impiccato o sentire le persone che urlano ‘Ali, Ali’”. Nasser, un altro ragazzo, spiega che Ali e Mohammad “non erano dei cattivi ragazzi. Nel quartiere non facevano male a nessuno. Se non fossero stati così stupidi, non avrebbero portato per tre giorni gli stessi vestiti che indossavano al momento dell’aggressione”. Prima della condanna a morte, non sembravano rendersi conto di quello che gli sarebbe successo. Eppure, altri quattro criminali erano stati impiccati poco tempo prima vicino a casa loro. 


Telecamere
Ci sono anche delle persone dall’aria contenta. Ma quando si avvicinano le telecamere della tv di stato, scappano via, tanto che il giornalista gli grida dietro: “Ma dove correte! Mica vi mangiamo!”. Dall’altro lato delle transenne, i soldati di guardia hanno più o meno la stessa età dei condannati. Hossein, che ha cominciato il servizio militare da otto mesi, non è interessato allo spettacolo: “Perché dovrebbe interessarmi? Già in caserma si dorme male senza dover pensare a tutto questo”. Per la polizia, però, si tratta di un evento importante. Il luogo dell’esecuzione è pieno di camionette e unità speciali. Quest’esecuzione è davvero diversa da tutte le altre. I giornalisti indipendenti presenti all’evento hanno preso così tante botte dai poliziotti che cercavano di allontanarli che i colleghi della stampa conservatrice non solo hanno riferito l’accaduto, ma hanno anche protestato presso le autorità.


Non sono presenti né la famiglia dell’aggressore né quelle dei condannati. Però ci sono i loro vicini. Dopo un po’ si tolgono un peso: “È per colpa della tv che sono stati condannati. I giudici hanno spiegati di averli condannati a morte perché il video aveva spaventato i cittadini. Se è così, perché non fanno arrestare il direttore dell’azienda a cui appartenevano le telecamere di sorveglianza? Invece di mettere il filmato su internet, avrebbe dovuto consegnarlo alla polizia”. Un amico di “Ali lo scemo” racconta: “Ali non aveva preso il diploma. La sua situazione finanziaria non era buona. Suo padre era morto da tempo e viveva con la madre. Non era un cattivo ragazzo, non aveva precedenti. Non posso credere che lo impiccano perché ha rubato qualche migliaio di toman. Sta pagando anche per molti altri. Non ha potuto ricevere visite da sua madre per cinquanta giorni. Solo ieri sera l’hanno accompagnata da lui perché s’incontrassero un’ultima volta”.
Nel momento in cui appaiono i due condannati tutti si precipitano verso le transenne. Passano pochi minuti. Si sente la lettura dei versetti del Corano, a cui segue la condanna. E tutto finisce.
Traduzione dal persiano di Pierre Vanrie.

su http://www.internazionale.it/news/iran/2013/04/05/cronaca-di-unimpiccagione/

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